La nostra storia: la grande sete di Pisticci e il serbatoio di Terravecchia

Se la Galleria S. Rocco rappresenta la più grande opera realizzata nel dopoguerra nel nostro territorio, la costruzione del serbatoio idrico di Terravecchia è quella maggiormente rappresentativa a Pisticci centro negli anni 30, in pieno regime del ventennio.

Un'opera parecchio attesa dal nostro popolo che, si dissetava attraverso fonti naturali del territorio. Tra le diverse fontane dell'agro, ricordiamo quella di Rupe sottostante all'ex Mattatoio, ma anche altre come la S.Anna, lungo la provinciale per Pozzitello. Sull'altro versante quelle in località S. Domenico, S. Gaetano, Cannile, Ficagnole, tutte mete fisse per attingere acqua per dissetare, ma anche per uso domestico.
Tempi difficilissimi per la nostra gente in cui il liquido più prezioso veniva consumato per uno stretto e mirato bisogno, proprio per poca presenza di fonti naturali, tutte più o meno distanti dalla città, con difficoltà nel raggiungerle a piedi, con traini, birocci e animali da soma, ma anche difficoltà per il trasporto con botti, barili, brocche, damigiane e altro. Disagio enorme quindi per le popolazioni dell'epoca che invocavano la realizzazione nell'abitato di un serbatoio idrico.
Non sappiamo quale fu, per l'occasione, il ruolo di Antonio Pelazzi (sindaco dal 1923 al 1927 e podestà fino all'11 settembre del 1931) e di altri politici gerarchi locali come il notaio Giambattista Lazazzera ( che fu anche podestà negli anni 1939 e 1940) e Domenico Di Grottole (podestà dal 1933 al 1937), ma sicuramente non mancò il loro impegno per riuscire a far finanziare, progettare e realizzare un serbatoio idrico nella parte più alta dell'abitato, la Terravecchia, come da tempo si reclamava. A loro sicuramente andò il riconoscimento della gente per una conquista di straordinaria importanza per la nostra città, che metteva fine ad un disagio ultra, ultra secolare, toccando diverse generazioni.

Non si hanno notizie precise sulla realizzazione dell'opera - edificata con la demolizione di parte del castello - ma da quelle raccolte, la cosa avvenne intorno e tra gli anni 30 e 34 (testimone, una targa in marmo sulla struttura, riporta in modo sbiadito "XII", cioè 12° anno dell'era fascista e quindi 1934 come fine lavori). Ad edificarla, la Impresa Alanari di Ravenna (come si nota dalla rara, preziosa foto di una fase della costruzione) che era diretta da tale Ing. Carlo Perrini, Direttore e responsabile del cantiere. Tecnico abile e di grande ingegno che in Terravecchia lo ricordavano persona gentile e disponibile, motociclista provetto e spericolato che viaggiava a bordo di una moto di grossa cilindrata.
Con la impresa Alanari, lavorarono anche altre piccole ditte del posto e paesi vicini. In particolare, la mastodontica opera cilindrica di piacevole architettura moderna, del diametro di circa 25 metri, si compone di tre nuclei strutturali. Quello centrale e più importante, alto ben 35 metri dal livello stradale, e una parte interrata di oltre 20 metri. Nell'una e nell'altra, due grandi vasche di alimentazione. L'altro nucleo, della stessa forma, alto solo una decina di metri ed anche sede di vasca di raccolta. Con la realizzazione dell'opera (che attingeva acqua dall'allora Acquedotto dell'Agri), fu costruita una rete idrica cittadina e diverse fontane pubbliche tra cui la monumentale di piazza S. Antonio Abate, quelle di Largo S. Marco e piazzale Chiesa Madre in Terravecchia, 2 nel rione Dirupo, le altre di Piazza S. Rocco, via Regina Elena, Rinaldi, inizio C. Metaponto e a S. Giovanni.
Per tanti anni, ricordiamo, responsabile dei servizi di distribuzione idrica, il sig. Salvatore Quinto, padre del Generale in pensione dell' Esercito, Berardino. Ovviamente parliamo di fatti che risalgono a circa un secolo fa. Chissà, forse con qualche imperfezione e ce ne scusiamo. E' importante però, aver fatto rivivere un pezzo della nostra storia che a quell'epoca soffriva e vinse la sfida della "grande sete" della nostra città. Grazie ad un'opera monumentale, tuttora ammirata.

Michele Selvaggi

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