25Dicembre2024

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Quella pazienza che diventa quasi rassegnazione

Siamo ormai lontani dagli echi  dei risultati elettorali, dalle analisi del voto. Attendiamo semplicemente che si compia l’ultimo atto dopo che quasi la metà dei Lucani ha deciso ciò che era nelle sue prerogative allo stesso modo di chi il diritto di voto non lo ha esercitato, ma che democraticamente sarà lo stesso rappresentato.
Aspettiamo che la classe dirigente incaricata di rappresentarci nomini il nuovo esecutivo tra ansia, impazienza e speranza, ben riposta direi, di vedere ripescato qualche nostro rappresentante. Non fosse altro per una sorta di campanilismo e non certo per una speranza di cambiamento.
Personalmente più che l’analisi del voto, ciò che mi appassiona è l’analisi delle motivazioni che spingono il nostro popolo a non voler cambiare nulla in questa terra anche in presenza di una insoddisfazione e una insofferenza diffusa.
Per quattro anni meno un giorno abbiamo indossato le vesti dei ribelli che vogliono e pretendono un cambiamento. Il giorno in cui bisogna agire, decidiamo di non cambiare nulla.
Perché succede questo ormai da decenni?
Se guardiamo la nostra storia forse una parvenza di motivazione potremmo darcela.
Nei secoli la nostra terra è stata ripetutamente oggetto di occupazione da parte dei Bizantini, dei Longobardi, dei Borboni, dei Piemontesi (solo per ricordarne alcuni) e, nei giorni nostri, da una non bene riconosciuta organizzazione formata da petrolieri, faccendieri, trafficanti di veleni e governanti distratti o forse troppo interessati.
Di fronte a tale scenario ogni uomo che ama questa terra non diventa un esempio da seguire e da supportare, ma un contestatore, un provocatore, un disadattato, uno da cui restare alla larga.
Ed è così che nei secoli il popolo Lucano per difendersi non ha imbracciato, allegoricamente, le armi ma ha sviluppato una sorta di virtù: la pazienza.
Ma cos’è la pazienza di un popolo?
La pazienza è la rassegnazione che subentra quando le hai provate tutte per dare dignità a te stesso e agli altri, ma ti rendi conto di essere praticamente in pochi a chiedere più equità, più diritti per tutti e senza distinzione di bandiera.
La pazienza è tolleranza perché in fondo in fondo riusciamo ancora a respirare e finchè respiriamo c’è speranza.
La pazienza è una sorta di anticorpo che abbiamo sviluppato per continuare a vivere in questa terra resa ostile da chi deputiamo periodicamente a rappresentarci.
La pazienza è un’opportunità , una prolungata speranza di poter essere, prima o poi, dalla parte di chi sarà privilegiato e premiato per la sua pazienza.
Perché gli amici se vuoi li trovi dappertutto, basta essergli riconoscente giusto quelle volte in cui ti chiedono  un gesto di riconoscenza. Non devi far nulla, semplicemente armarti di pazienza se ancora una volta dovrai aspettare il tuo turno. E l’attesa si sa diventa un motivo in più per cercare di non far cambiare nulla.
La politica muore e rinasce a piacimento di una classe politica fallimentare.
Muore quando rinasce in occasione dell’ennesima tornata elettorale. Quando i politici, mummificati nel periodo tra una elezione e l’altra, ritornano redivivi per rivendicare azioni eroiche e grandi successi a beneficio di questa nostra comunità.
E infine muore, muore per sempre quando “lucanamente” ci chiediamo: “Ma che cosa vuoi di più dalla politica”?
Questo è il bello de: “La vita in diretta”. Poche parole per raccontare secoli di … pazienza.

Rocco Caramuscio
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