25Dicembre2024

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Calanchi lucani. Sul parco che non c'è

Ancora un incontro sui calanchi a Montalbano Ionico grazie alla locale sezione di Legambiente coordinata da Arturo Caponero, che continua a mostrare particolare attenzione verso il tema. Gli incontri, si sa, sono sempre importanti per il semplice fatto che mettono periodicamente al centro dell’attenzione una questione e quella dei calanchi, ormai, lo è diventata visto che se ne parla da anni. Il sottoscritto se ne occupa ufficialmente dal 1997 e, a distanza di 17 anni, quasi niente è stato fatto per questo immenso patrimonio naturalistico e antropico della Basilicata. Ci si aspettava, dopo tanto tempo, almeno l’istituzione di un “frammento” di parco che già molti anni fa si voleva associare alla coltivazione dell’Ulivo con il “Parco dei Calanchi e degli Ulivi”.
Nell’incontro del 24 gennaio (sala Giovanni Paolo II, parrocchia San Rocco), pur attenti e puntuali i relatori non hanno aggiunto niente di sostanziale a quanto già noto da tempo, anzi, a volte, hanno dato l’impressione di un déjà vu che comincia a tradursi in “stanchezza” per essi e per chi ascolta. Evidentemente, non si intende denigrare i relatori, ma si sta evidenziando la sostanziale assenza delle istituzioni regionali che potrebbero realmente far produrre almeno un “pezzo di parco” per testare i principi teorici, la partecipazione e le reazioni delle comunità interessate, i benefici e i rischi, le riverberazioni sul turismo, ecc. Sono convinto che se si dovesse parlare ancora per molto tempo, il rischio potrebbe essere la perdita di entusiasmo. Da qui l’appello alle istituzioni per mettere in pratica le copiose riflessioni fatte negli anni e riprendere a parlare solo a realizzazione avvenuta per migliorare, eventualmente, idee e progetti.
A volte, la eccessiva produzione di incontri, induce a forzate teorie mosse, probabilmente, da una sorta di obbligo ad introdurre del “nuovo” che, ad un esame attento, si rivela tautologico. Alludo alla “legge sulla bellezza” a cui starebbe lavorando Legambiente per approdare persino ai “Piani Comunali della Bellezza”. L’apprezzabile entusiasmo con cui ne ha parlato la Presidente Legambiente Scuola e Formazione - Vanessa Pallucchi – non mi esime a muovere delle critiche. Infatti, in campo paesaggistico e non solo, ogni azione dell’uomo dovrebbe tendere alla “bellezza” e quando non ci riesce, se non è per proprie deficienze, i motivi vanno ritrovati altrove, non certo nella mancanza di leggi che contemplino la bellezza. Oltre alla convinzione che alla “bellezza” non si può giungere attraverso un “decreto”, è opportuno rammentare che in Italia abbiamo già tante leggi che spesso si contraddicono causando una serie di “ingorghi” da cui diventa arduo uscirne se non attraverso compromessi. La ricerca dell’accordo, che in Italia si pratica da sempre, nei settori di ricerca di cui ci occupiamo, non porta a buoni risultati ma a forme di ibridazione, a dannosi “pastrocchi”. La “progettazione della bellezza” è, evidentemente, tautologica quanto la “progettazione della funzionalità”: un qualunque organismo architettonico, urbano o paesaggistico, se non ha almeno valenze estetiche (la venustas della triade vitruviana ne è l’espressione più antica) e se non assolve al ruolo per il quale è stato progettato, non è annoverabile tra le architetture. Al di là di ogni ideologia, linguaggio o approccio progettuale, esistono collaudati strumenti per prefigurare un edificio, una piazza, una strada, un quartiere, un giardino o un parco, e sono strumenti tutti interni alla disciplina (o al mestiere, secondo qualcuno); inoltre esistono strumenti per progettare e valutare se un oggetto architettonico appartiene alla propria realtà oppure no. Semmai, occorre sensibilizzare l’opinione pubblica a codificare la bellezza e la bruttezza come ha fatto magistralmente Umberto Eco a proposito delle opere d’arte nei diversi periodi. La bellezza, oltre ad essere intrinseca ad ogni buona pratica di intervento paesaggistico, deve esprimere la temperie culturale del momento storico in cui è prodotta (la bellezza è declinata in maniera differente a seconda dei periodi) e deve interpretare lo spirito del luogo (il genius loci). Inoltre, nel processo educativo, occorre far riflettere la gente e soprattutto i politici, che il “bello” spesso costa quanto il “brutto” e che mentre il primo ha quasi sempre una valenza economica oltre che spirituale, il secondo non raggiunge nessuno dei due obiettivi, anzi incide negativamente sullo spirito. La codificazione dei valori estetici farebbe luce, vivaddio, anche sulle differenze tra “paesaggio” e “ambiente”. In questa direzione, i Centri di Educazione Ambientale di Legambiente, sono a dir poco encomiabili anche se, a parere di chi scrive, dovrebbero insistere maggiormente sui caratteri estetici (un luogo non deve essere solo sano dal punto di vista biologico ma interessante anche sul piano estetico).
Pierluigi Pontrandolfi - docente di Pianificazione Territoriale presso L’Università degli Studi di Basilicata - ha giustamente posto l’attenzione sulla mancanza di Pianificazione Territoriale in Basilicata, sostanzialmente ferma alla Legge Urbanistica Regionale del 1999 che, oltre tutto, è stata poco e malamente applicata. In Basilicata non esiste ancora una Carta Regionale dei Suoli, non vi è il Piano Paesistico Regionale e solo qualche mese fa, dopo anni di attesa, la provincia di Potenza ha approvato il proprio Piano Strutturale Provinciale, mentre quella di Matera si è fermata al Documento Preliminare. La Pianificazione, intesa come visione strategica territoriale, è indispensabile per programmare le attività umane nelle varie aree, è indispensabile per comprendere la vocazione dei luoghi e per creare interrelazioni utili a rendere operativo quel “principio di sussidiarietà” che fino a qualche anno fa veniva ripetuto come un “mantra” senza che si sia mai vista una pur elementare applicazione. Bisogna tendere ad una Pianificazione che non sia un coacervo di complicate norme prescrittive ma che prefiguri tipi edilizi, sistemi insediativi e aggregativi, che interpreti i caratteri dei territori e valorizzi le vocazioni senza alcuna forzatura, che connetta i territori in sistemi olistici per cogliere le potenzialità di ognuno in rapporto ad altri.   
Gli auspici di Geo Coretti – regista e produttore cinematografico - di fare della Basilicata una regione idonea a fare cinema, li condivido in toto ma guai a pensare lo sviluppo in termini monotematici; Hollywood  e la stessa Cinecittà, purtroppo per noi, sono sorte in condizioni spazio - temporali molto diverse dalle nostre. La Basilicata, se vuole crescere, deve ambire a molti obiettivi tra cui il cinema è senza dubbio un potente strumento di conoscenza, uno dei mezzi migliori per veicolare la regione nel mondo come ha mostrato per  i Sassi; ancora oggi, alcuni tra i turisti materani chiedono di visitare i luoghi de “Il Vangelo secondo Matteo” di Pasolini (1964) o quelli de “The Passion of Christ” di Gibson (2004). A proposito del rapporto tra cinema e luoghi, sul numero 973 di Domus, è riportato un articolo di Alberto Sironi - regista della saga televisiva su “Il commissario Montalbano” - in cui descrive come è nato quel paesaggio e come ha fatto rinascere le piazze tardo – barocche di quelle cittadine siciliane. L’articolo, tra l’altro, è interessante perché fa notare la capacità del cinema ad interpretare e persino a costruire idealmente “nuovi luoghi” (Vigata non esiste nella realtà, ma è il risultato cinematografico di pezzi scelti in un raggio di 30 chilometri tra Ragusa Ibla, Modica, Vittoria, Pozzallo e Donnalucata). Per onestà, tuttavia, va detto che “la casa del commissario Montalbano”, costruita sull’arenile di Puntasecca (Ragusa) con un discutibile permesso del Demanio ottenuto dal proprietario vero, non è proprio l’esempio del buon rapporto architettura – natura.
I dati delle presenze turistiche in Basilicata, enumerati da Franco Garofalo – presidente di Welcome Lucania - sono incoraggianti se li confrontiamo a quelli di qualche anno fa, ma sono ancora piccoli numeri che non aiutano la regione ad uscire dalla impasse economica in cui è. Se il Metapontino, Matera, Maratea e il Melfese sono le aree forti della regione relativamente a quelle interne, in assoluto o a confronto con quelle pugliesi (per rimanere al sud), risultano assai deboli. Ritengo che sia maturo il tempo di creare rapporti di reciprocità tra queste aree e, in un sistema territoriale complesso, insieme alle montagne appenniniche, i calanchi potrebbero avere il ruolo di connessione.
Il territorio calanchivo, evidentemente, va inteso con tutti i centri abitati presenti e non solo come insieme naturalistico – rurale. Oltre ai centri abitati con i propri nuclei storici, ne fanno parte le contrade rurali, le masserie e gli opifici, le prevalenze architettoniche sparse come conventi extra moenia, cappelle, edicole votive, fontane e abbeveratoi, testimonianze archeologiche, tratturi, luoghi panoramici, ecc.
La testimonianza del Sindaco di Craco - Giuseppe La Cicerchia - prova la congruità del ragionamento fin qui fatto; nonostante le ristrettezze economiche con cui è costretto ad operare, egli ha raggiunto apprezzabili risultati come dimostrano i numeri: dagli 800 visitatori di cinque anni fa, Craco ha contato 5.000 presenze nel 2013, tutte paganti grazie alla Craco Card introdotta per assicurare entrate utili al mantenimento del nucleo storico.
Marco De Biasi, in qualità di Presidente Legambiente Basilicata Onlus, ha concluso ponendo l’accento sulla importanza e sulla opportunità degli incontri come quello di Montalbano pur ammettendo la sostanziale inerzia dell’intero sistema decisionale regionale.
Probabilmente, per uscire dallo stallo in cui siamo, si dovrebbe “zoomare” su un’area che, oltre ad essere stata studiata più delle altre, presenti innegabili affinità al proprio interno. L’area tra i Comuni di Pisticci, Craco e Montalbano Ionico si presterebbe allo scopo per i motivi sinteticamente riportati:
- Nel complesso l’area presenta una straordinaria varietà tipologica di formazioni argillose: biancane, calanchi a cupola, a dorso di elefante e a lama di coltello.
- Contiene vari geositi tra cui “La riserva regionale dei calanchi di Montalbano Ionico” istituita nel 2011 con Legge Regionale n. 3, la Petrolla e una notevole quantità di giacimenti fossiliferi sparsi.
- La presenza dei fiumi Basento, Cavone e Agri, rappresenta una ricchezza ambientale e paesaggistica di rilievo, un valore aggiunto in un ipotetico parco che potrebbe mirare alla creazione - valorizzazione di altrettanti corridoi ecologici dalle aree interne allo Ionio.
- I segni chiari e leggibili di una frequentazione rurale intensa e prolungata nel tempo, incoraggiano a rinnovare la presenza umana in questi territori, conditio sine qua non per un parco inteso come entità socio – economica dinamica. Nel vasto territorio vi sono colture tradizionali e non, oltre a numerosi allevamenti di bestiame con laboratori caseari artigiani e attività agrituristiche che proprio dal parco potrebbero ricevere forte impulso.
- A confermare le affinità tra i territori sin dai tempi andati, le attività rurali vedono la reciproca frequentazione dei campi agricoli da parte delle popolazioni; sono tanti i casi di proprietà in capo a pisticcesi in agro di Montalbano o di Craco e viceversa.
- Vi sono vaste aree boschive autoctone o create dall’uomo per fronteggiare il fenomeno dell’erosione calanchiva; queste ultime, “metabolizzate” dal paesaggio, lo rendono riconoscibile quando lo si percorre all’interno o lungo le arterie stradali di bordo.
- I tre Comuni, ognuno con proprie caratteristiche di impianto storico (Craco vecchia è addirittura un caso singolare per la condizione di “fantasma” in cui è), rappresentano altri valori ma anche altre testimonianze di affinità; solo per esempio, sia a Pisticci che a Montalbano, l’insediamento più antico si chiama Terravecchia.
- L’area è dotata di una eccellente viabilità di bordo (Basentana, Litoranea Ionica, Val d’Agri) e una viabilità interna che, se ripristinata in tempi brevi come ci si augura, potrebbe condurre i visitatori nel cuore dei territori.
- Attraverso le suddette strade e gli stessi centri abitati di Pisticci e Montalbano, si potrebbero creare relazioni tra i territori calanchivi e marini per dar vita ad un sistema di sistemi, ovvero per mettere in rete le diverse realtà paesaggistiche.
- Su questi territori è stato prodotto un  copioso lavoro di analisi come quello contenuto nel Documento Preliminare al Piano Strutturale della Provincia di Matera e vi sono ipotesi di valorizzazione commissionati dalla stessa Provincia in anni recenti. Pertanto vi sarebbe molto lavoro già svolto la cui efficacia tuttavia, attende di essere verificata.
- Le congruenti tradizioni storiche e socio – culturali tra i Comuni, le affinità economiche e le reciproche frequentazioni degli abitanti proprio nei territori rurali, rappresentano altre condizioni favorevoli alla sperimentazione di questo “pezzo di parco”.       
Evidentemente, dopo aver testato un metodo di lavoro, in tempi brevi lo stesso ragionamento si potrebbe estendere ad altre parti del territorio argilloso. Dietro un unico coordinamento scientifico e alcuni coordinatori operativi, il parco dei calanchi potrebbe realmente concretizzarsi nel volgere di qualche anno.
In conclusione, un appello alle varie associazioni ambientaliste e ai vari professionisti che da anni studiano la “questione calanchi”: si organizzi un grande convegno in cui invitare il Governatore della Regione Basilicata e i vari Assessori interessati, gli Amministratori Comunali, i vari operatori regionali, le associazioni di categorie, gli abitanti dei territori, ecc. per parlare di obiettivi e metodologie di intervento in tempi certi.   
Fuor di polemica, penso sia giunto il tempo di cambiare strategia nei confronti delle istituzioni che dovrebbero produrre azioni di salvaguardia e valorizzazione.  Occorre metterli di fronte alle problematiche in atto, dal crollo delle strade alle frane che puntualmente si innescano nei territori rurali abbandonati, dalle discariche “autorizzate” alle ancor più numerose discariche abusive, dall’abbandono delle attività agricole al rischio di subire l’aggressione delle ecomafie, dall’abbandono delle prevalenze monumentali sparse al depauperamento di interi nuclei storici e dell’immenso patrimonio rurale, dal rischio di vedere crescere inutili strutture ad approssimati interventi di recupero che, pur costosi, spesso non rispondono a programmi funzionali ex ante. Inoltre occorre mettere le istituzioni di fronte alle ingenti spese necessarie per ripristinare gli equilibri territoriali, spese che sarebbero sensibilmente inferiori in un regime di manutenzione continua, obbligatoria e sostenibile nel contesto di un parco.  
La Regione, va detto, ha prodotto pubblicazioni sul paesaggio lucano anche interessanti, ha partecipato ad alcune edizioni del concorso internazionale Pays.doc che ha portato al “Catalogo delle Buone Pratiche per il Paesaggio” su cui sono state ospitate riflessioni sui territori calanchivi. Non solo “ombre” dunque, ma anche “luci” che, tuttavia, non bastano a valorizzare i territori trattati. Occorre fare molto di più e subito prima che la regione si spopoli ancora; tra i tanti provvedimenti che bisogna mettere in atto per scongiurare il declino demografico, il “parco dei calanchi” potrebbe essere una speranza di lavoro e di futuro per tanti giovani che anelano a rimanere nei paesi in cui sono nati.
Facciamo in modo che il tanto agognato parco non diventi come “l’isola che non c’è” in cui agisce il personaggio di Peter Pan. Al contrario, il parco qui invocato non è un’utopia e chi ne nega la realizzabilità, manca di progettualità.
Rivolgendomi soprattutto ai giovani, mi piace concludere parafrasando Papa Francesco, “non lasciamo(ci) rubare la speranza” e facciamoci tutti tenaci costruttori di futuro, non consentiamo ad altri di compromettere il nostro avvenire e quello delle prossime generazioni.

Architetto Renato D'Onofrio