'Una lacerante crisi di valori. Le istituzioni sono chiamate a riprendersi il loro ruolo'. L'omelia del Vescovo a Marconia
- Post 14 Settembre 2020
oggi per la comunità di Marconia è un giorno speciale: la festa della Madonna delle Grazie. Ci si è preparati a questo momento con lo spirito di fede che da sempre anima questa comunità, nel rispetto delle regole governative a causa del Covid 19.
Lo spirito di questa festa è stato reso amaro da quanto è successo nei giorni scorsi.
Invito tutti a lasciarci guidare dalla liturgia della Parola che abbiamo appena ascoltato, propria di questa Domenica, perché è di una attualità disarmante.
Per rendere una bevanda amara basta una sola goccia di veleno. E’ un’esperienza che ognuno di noi fa ogni qualvolta il rancore e il risentimento, come due gocce amare, riescono a impossessarsi della nostra vita: pensieri, parole, mimica facciale, atteggiamenti, sono conseguenziali. A volte si fanno scelte che ci procurano anche delle malattie.
E’ quanto abbiamo ascoltato nella prima lettura, tratta dal libro del Siracide. Il rancore e l’ira, latenti in noi, hanno il potere di ossessionare l’animo umano, rendendolo sempre più amaro senza conto. In questa situazione chi ci rimette è sempre la persona o le persone che ci stanno più vicine o che maggiormente amiamo. Chi ne paga le conseguenze è un’intera comunità.
Gesù, nel vangelo, ci consegna un rimedio e una medicina capaci, come antidoto, a combattere gli effetti devastanti del veleno. Si chiama perdono. Ma cosa significa? Chiediamo alla Madonna delle Grazie di aiutarci a capire, lei che ha subito l’atrocità della passione, crocifissione e morte del Figlio Gesù, sperimentando il senso dell’impotenza umana.
Vorrei contestualizzare la liturgia della Parola di questa domenica collegandola a due tristi fatti ai quali abbiamo assistito e che ci hanno lasciati sgomenti.
Il pestaggio, con conseguente morte, del giovane Willy da parte di altri giovani;
la violenza sessuale, brutale e inumana, subita da due ragazzine proprio vicino casa nostra, a Marconia.
Come si fa a perdonare? La rabbia e l’ira in questo momento ci fanno dire che è impossibile.
Mi permetto di fare un’analisi del tempo che stiamo vivendo. Ormai sono tanti i giovani coinvolti in episodi di violenza di vario genere. Possiamo rimanere indifferenti?
Diciamo subito che quanto è successo è un dato allarmante. Manifesta un malessere sociale sempre più dilagante.
Penso che stiamo vivendo un tempo durante il quale si stia manifestando, attraverso forme tragiche ed incontenibili, quella che molti definiscono “sofferenza morale e spirituale dell’universo giovanile posto a dura prova dalle contraddizioni insormontabili che caratterizzato l’epoca attuale.
Tanti giovani rincorrono facili conquiste, quali il piacere, il denaro, il possesso delle cose, ma tali conquiste sono fatue e deviano la mente del giovane dalla ricerca di ciò che nutre l’animo e la mente”.
C’è un duplice grido di dolore e di rabbia che sale a Dio in questo momento:
1. Chi ha subito la violenza. Si sente considerato un oggetto nelle mani di altri che decidono di farne quello che vogliono, uccidendo l’inerme corpo o facendolo diventare puro oggetto di piacere per soddisfare i propri istinti innaturali. Poco importa che siano delle bambine alle quali vengono strappati i sogni, procurando ferite così profonde che difficilmente saranno cancellate.
2. Chi compie tali azioni. Giovani o adulti fanno della violenza il linguaggio di una crisi di valori laceranti che continua a generare solitudine e frustrazione, perciò si esprime nella violenza.
Nel vangelo che abbiamo ascoltato ci viene chiesto di restituire quanto abbiamo ricevuto. Dio è capace di perdonare per farci ritrovare la strada perduta, la libertà venduta al libertinaggio. L’uomo, pur essendo graziato da Dio, dimentica facilmente quanto ha ricevuto e butta in carcere il suo simile. E’ il carcere procurato dalla prepotenza, dall’arroganza, dalla presunzione di decidere della vita dell’altro, di usare il suo corpo come oggetto da maltrattare e non come persona da adorare, amare.
Cari giovani, ancora una volta vi chiedo: aiutateci ad aiutarvi. Usciamo da certi schemi qualunquistici che inducono a interrogarci poco e a denigrare sempre. Non vi pare che dobbiamo imparare ad abbassare i toni nel linguaggio verbale e soprattutto sui social? Non vi pare che si scrivono troppe cose non per costruire ma per fare solo i professori di turno in base a ciò che succede? Non vi pare che i modelli ai quali ci ispiriamo sovente sono quelli che cavalcano l’onda del malessere sociale per seminare ulteriore fango sull’avversario? Abbiamo tutti bisogno di esempi e non di parolai, di persone, uomini e donne, che siano compagni di viaggio, capaci di dare la vita e non di sentirci dire cosa dobbiamo fare.
La libertà è dialogo, capacità di stare insieme nonostante la diversità di vedute e posizioni, costruire insieme, volere il bene di una comunità impegnandosi concretamente e smettendola di seminare idiozie o lasciandoci buttare fumo negli occhi.
Dobbiamo ritornare ad educare e farci educare per nutrire il cuore e la mente di quei principi sani che fanno crescere la forza e la potenza dirompente dell’amore, capace di spezzare ogni spirale di violenza. Solo questo ci farà diventare uomini e donne vere.
Coloro che compiono determinate azioni, facendo della violenza il loro modus vivendi, mostrano una vita, che è espressione di una lacerante crisi di valori che, a causa di una immensa solitudine interiore, sfocia nell’aggressività appropriandosi del diritto di scegliere per l’altro, caricandolo del più atroce male e della più inumana sofferenza.
Famiglia, Chiesa, Scuola, Istituzioni, siamo chiamati a mettere da parte sterili e inconsistenti moralismi per riprenderci il nostro ruolo, quali comunità educanti, remando insieme sulla stessa barca e nella stessa direzione.
Stiamo raccogliendo ciò che abbiamo seminato ma facciamo ancora in tempo: riportiamo l’essere umano al centro della nostra esistenza valorizzando la sacralità della vita dal suo concepimento al suo morire naturale. Solo così l’uomo, maschio e femmina, ritornerà ad essere visto come soggetto e non come oggetto.
La crisi economica, accentuata dalla pandemia del Covid 19, ha svelato non la semplice crisi del mercato, tanto osannato, ma soprattutto la crisi di quei valori umani che sono stati e continuano ad essere calpestati in nome di una illusoria libertà che apre le porte del carcere impedendo, la convivenza umana che è fatta di responsabilità, di rispetto, di aiuto reciproco, di circolazione dell’amore.
Non mi rassegno, come pastore, all’idea di lasciarsi vivere. Non mi rassegno al pensiero che a voi giovani, in nome di una falsa concezione di civiltà e libertà, tutto diventa lecito.
Come vescovo, sento di chiedere perdono dal profondo del cuore in questo momento, alle due ragazze e alle loro famiglie. Lo faccio anche a nome di voi giovani, dell’intera comunità di Marconia che in questi giorni sta vivendo una insopportabile sofferenza. Marconia rinnega e prende le distanze da ogni tipo di violenza manifestando vicinanza e amore alle vittime e alle loro famiglie.
La Madonna delle Grazie, ai piedi della Croce, ha raccolto le ultime parole del Figlio: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”.
E in questo momento sento di rivolgere un pensiero a quanti hanno perpetrato quest’orribile delitto.
Ragazzi, io non so se voi che siete in carcere siete i responsabili o altri che circolano normalmente per le strade dei nostri paesi. Vi dico con certezza: anche voi siete vittime di un sistema, di voi stessi.
Avete una mamma, delle sorelle, delle cugine? Se avessero fatto ai vostri affetti più cari quanto voi avete fatto a queste ragazze come vi sentireste in questo momento?
Fatevi aiutare ad uscire non dal carcere dove attualmente vi trovate, ma da quello mentale, dai vuoti che vi portate dentro, dalla bassezza di considerare la vita dono vano.
Fatevi aiutare, chiedete aiuto, accompagnamento. Fate ancora in tempo a riprendere tra le vostre mani la vita che avete consegnato al male e al vostro soddisfacimento incontrollato. E il male è l’opposto di Dio. Dio è relazione, amore, il male è solitudine, individualismo che spezza la convivenza civile, rompe l’armonia, mina seriamente il progresso civile.
Ai piedi alla Madonna delle Grazie deponiamo ogni cosa: il dolore, l’amarezza, lo sconcerto ma anche il desiderio, la voglia di rialzarci per tessere trame di vita, di relazioni umane dove il rispetto e l’amore per l’altro diventino il nostro programma da portare avanti.
Concludo con la preghiera scritta per questa domenica. Molti di voi già la conoscono:
Quanti moralismi e inutili sensi di colpa, Signore!
Buonismo senza bontà
emozioni senza perdono
parlar becero che genera violenza
e soffoca giovani vite
mentre noi attoniti e smarriti a guardar.
Quante visioni distorte, mio Dio!
Branchi di uomini
come lupi seminano terrore
svuotati nel cuore e nella mente
senza modelli ideali
procurano morte.
Di quale perdono parli, Signore?
La rabbia e il dolore
dell’impotenza dell’ora presente
non inteneriscono l’animo acerbo
che grida sofferente
come te sulla Croce: perché?
La debolezza e l’arroganza ti presento, mio Dio!
Le ferite di un cuore lacerato guarisci
per essere capace di te:
figli del perdono adulto
che rinnova la storia
ritrovando l’umana bellezza.
Donaci il tuo perdono, Signore!
Rivestici del tuo manto divino
per seminare nei solchi tracciati dal vomere dell’amore
pace e giustizia,
che sgorgano dal tuo fianco squarciato
sulle nostre amare ferite.
Signore misericordioso, tu sei!
Amante della storia di ognuno
ci inviti a guardare lontano
per librarci sulle ali del vento
tra spazi infiniti di cielo
per planare tra gli esseri umani.
Don Pino Caiazzo