Un libro, una storia. Sono trascorsi 128 anni da quel 20 ottobre 1888 e solo adesso qualcuno si è ricordato di quanto accadde sulla linea ferroviaria Potenza – Metaponto: la tragedia del treno 269, con 20 morti e 56 feriti. “Il treno del bel canto. Il disastro di Grassano del 1888”, è il libro di Gianni Maragno, fresco di stampa per le edizioni Setac, che racconta quella storia ed è stato presentato nell’Auditorium del Liceo Classico di Pisticci, alla presenza, oltre che dell’autore, del Preside Franco Di Tursi, del sindaco Viviana Verri, dell’avvocato Amedeo Cataldo, del giornalista Donato Mastrangelo e di studenti dell’Istituto. Partito da Napoli alle 19,20 della sera del 19 ottobre 1888, il treno 269 era diretto a Brindisi lungo la linea Potenza-Metaponto, entrata in funzione, solo 10 anni prima, il 10 aprile 1876. Si trattava, dunque, di una linea di recente costruzione, con cui il nuovo Regno d’Italia cercava di unire di fatto la penisola.
Quella linea, a lungo desiderata, aveva una funzione strategica, poiché, unendo il Mar Ionio al Tirreno, attraversava l’intera regione lucana, perforandone i monti. Il territorio da attraversare non era facile, sebbene l’evento funesto avvenne in pianura, in una zona più semplice da attraversare. Su quel treno, con gli altri passeggeri, viaggiava anche la “Compagnia del bel canto”, con orchestrali, cantanti e l’impresario Combonera, diretta a Corfù, in Grecia, dove si sarebbe esibita ”nell’elegante Nobile Teatro di San Giacomo, già antica Cattedrale dei veneziani”. Il viaggio sembrava proseguire tranquillo, quando intorno alle 5,40 del giorno dopo, il 20 ottobre, il treno aveva oltrepassato la stazione di Grassano e si dirigeva verso la stazione di Grottole e Salandra. Non vi arriverà mai. “Giunto [infatti] alla curva dopo il casello 215”, in località “Tempa di Motta”, si infilò in una frana argillosa, caduta sui binari. La locomotiva a vapore si impennò “alla stessa guisa che un cavallo bizzarro sui piedi di dietro”, fermandosi “ben tosto per l’impossibilità” di superare l’ostacolo. Appariva “immersa nella terra franata, …situata come se fosse salita dentro la terra, rimanendo coi fianchi interrati nella medesima”.
I vagoni che seguivano immediatamente, addossandosi l’uno all’altro, in parte si era accartocciati, in parte si erano fracassati. Il bilancio, come detto, fu pesante: 20 morti e 56 feriti, fra i quali anche un cittadino di Pisticci, Giovanni Rosario, e alcuni componenti della “Compagnia del bel canto”. Sarà il primo incidente su quella linea, del quale tuttavia si perderà la memoria fino a quando, appunto, Gianni Maragno, studioso e curioso di vecchie cose della nostra regione, aggirandosi nelle sale dell’Archivio di Stato di Potenza, si imbatté nel ricco faldone che conteneva le informazioni sull’evento e maturò l’idea di farne un libro, con l’obiettivo di rendere nota la pur triste vicenda. La storia del treno 269 non mancò di interessare – come ha ricordato nel suo ricco intervento Amedeo Cataldo– le aule dei Tribunali di Matera e Potenza, dove fu individuato un unico colpevole (il casellante del casello 215), andando avanti tra reticenze e false testimonianze fino all’assoluzione di tutti, decisa il 18 luglio 1892 dal Tribunale di Bologna nonostante l’appassionato e dotto intervento dell’avvocato di parte civile Enrico Ferri. A nulla valse il ricorso in Cassazione da parte di Ferri. “Continuò – ricorda l’avocato - lo stesso malaugurato influsso e la impunità pel disastro di Grassano (che gli fu confessato a quattr’occhi essere imposta dalla ‘ragione di Stato’ di non provocare il fallimento della Rete Mediterranea con l’obbligo di pagare qualche milione di “indennizzo”) … macchia per la magistratura italiana”. La vicenda – come spiega Maragno – fu insomma oscurata.
Sui morti cadde una sorta di damnatio memoriae e guai a parlarne. Al casello 215 mai nessuno pose una lapide con l’elenco delle vittime, come sarebbe stato normale. Troppa era la fede nel progresso e nelle ferrovie e non conveniva turbarla con il nome di 20 persone morte. Quei nomi sono rimasti a lungo nascosti in un faldone impolverato, finché non se ne è impadronito il solerte Maragno, portandoli alla luce. 128 anni dopo giunge dunque, per quelle persone e quella tragedia, un giusto ricordo e un dovuto omaggio, con un pensiero alla linea Potenza – Metaponto che, a distanza di oltre un secolo, è rimasta quasi la stessa: un solo binario e, in un certo senso, gli stessi problemi di allora. Oggi passa il Frecciarossa, ma a 60 km orari. Un plauso a Gianni Marango e alla sua meritoria opera di ricerca e informazione.
Michele Selvaggi