Irene Albano, personale di pittura. Una riflessione
- Post 28 Agosto 2014
In occasione della mostra che si è tenuta fino al 26 agosto nella sala consiliare del vecchio municipio di Pisticci, invitato nuovamente a presentare le opere, non ho riproposto i miei pensieri sullo specifico pittorico, sia per non ribadire quanto già detto, sia per lasciare tale compito alla curatrice, Fiorella Fiore. La storica dell’arte ha interpretato le opere all’interno di quanto sta accadendo nel mondo dell’arte contemporanea, riconoscendo alla pittrice una particolare sensibilità verso “accenti informali”.
Ho scelto di raccontare il mio punto di vista che non riguarda solo Irene Albano e la mostra in questione ma tutti coloro che decidono di fare ricerca in una cittadina di provincia qual è Pisticci, sperando che queste riflessioni servano a qualcosa e a qualcuno.
Già a dicembre, quando andai nel suo angusto laboratorio di via Anzio, ebbi la certezza che la Albano facesse sul serio, che si dedicasse a questa esperienza con convinzione e che facesse entrare nelle opere la propria cultura umanistica, la propria esperienza di insegnante oltre che di donna. Che significa “fare sul serio”? Dal mio punto di vista significa soprattutto operare in maniera libera e disincantata rispetto ad alcuni fenomeni modaioli, ma significa anche avvicinarsi a esperienze lontane dalla tradizione locale, significa non essere autoreferenziali ma, al contrario, cercare il confronto. Questo è stato un po’ l’incipit a cui sono seguite alcune domande:
E’ possibile fare ricerca in provincia, in un luogo geograficamente e culturalmente marginalizzato, nonostante siano in atto fenomeni coraggiosi di gruppi di giovani pieni di progetti e speranze?
E’ possibile andare oltre la tradizione che, lungi dal rinnegarla, se non ben informata da una cultura “altra”, scade in manifestazioni folcloristiche che spesso non restituiscono nemmeno lo spirito del luogo?
E’ possibile rimanere in provincia senza essere autoreferenziali?
Albano ha dimostrato ampiamente che tutto ciò è possibile. In particolare ha dimostrato, almeno fino a questo momento, una gran voglia di ricercare e spero che lo faccia ancora di più in futuro, anzi approfitto per incoraggiarla ad osare, ad essere sempre più curiosa di frequentare nuovi “ambiti” per esprimere ciò che con le parole non è possibile dire. “L’arte - diceva Paul Klee - non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”. Nella stessa direzione, ma con riferimento all’arte sacra, è la famosa “lettera agli artisti” di Paolo VI quando, l’8 dicembre 1965, li invitava a riavvicinarsi alla Chiesa perché capaci di rappresentare ciò che non si può esprimere con le parole, ciò che per sua natura è inenarrabile: la Verità Divina. Impegno questo, sostenuto nel 1999 da Giovanni Paolo II e nel 2009 da Benedetto XVI.
A coloro che, non trovando figure o solo figure in queste opere, dovessero rimanere delusi perché incapaci di coglierne i messaggi, suggerisco di presentarsi ad esse con un minimo di informazione e sensibilità. Infatti, per poter vedere nei colori e nelle forme ciò che non sempre è visibile, è necessario saper codificare l’opera, è indispensabile interpretarne la semiologia sottesa, è opportuno conoscerne l’”ermeneutica”. In fondo, un’opera è il “luogo” in cui si incontrano due pensieri: quello di colui che l’ha prodotta e quello di colui che la osserva, la scruta e la analizza. Spesso, l’opera va oltre le intenzioni dell’autore che si ritrova ad essere osservatore e scopritore di se stesso proprio grazie alle analisi e alle critiche di chi guarda. Da questo punto di vista un’opera, se è veramente tale, è sempre ricca di messaggi, quelli che consapevolmente ognuno di noi coglie nel vederla.
Spero che Irene Albano ricerchi con curiosità e continui a rappresentare con efficacia, non importa se cose nuove o vecchie, purché vada “oltre il visibile” per fare “nuove scoperte”. In questo senso, spero che i suoi “occhi” si rinnovino continuamente perché, per dirla con Marcel Proust, “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.
Renato D'Onofrio
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