Quant'è bedd Pstizz
- Post 20 Novembre 2013
In favore di Bellitti pare aver funzionato, comunque, l’asse con Di Trani, più che con l’intero Forum Democratico (dove qualcuno s’è defilato, qualcun altro ha fatto distinguo) e con la segreteria del Pd cittadino ufficiale. Adesso ci sarà da capire se davvero questo riavvicinamento potrà favorire la caduta del muro, con indubbi benefici elettorali ed altrettanto indubbia scoperta della farsa propinata all’elettorato pisticcese alle scorse comunali, tirato a destra ed a manca, anzi a sinistra ed a sinistra, dal grido “noi non siamo il Pd” e dai “mo basta” contro il grido “noi siamo l’unico vero Pd”. Ma questa è un’altra storia.
In terra pisticcese Cifarelli ha preso 102 voti, ma in trasferta Bellitti è andato anche meglio di quanto il suo contendente abbia fatto da queste parti. Sono pur sempre 102 voti, oltre ai 73 per Labriola. Qualche residua tendenza esterofila pare permanere. Fuoco amico? Qualcosa del genere. Forse fuoco di conoscenti.
I voti per essere comodamente eletto, Bellitti li avrebbe presi quasi certamente se non fosse stato della partita almeno uno fra il candidato Psi, Francesco D’Onofrio, e Paolo Giannasio di Realtà Italia. Ragionamento insignificante? Probabilmente, ma va fatto alla luce di quella viva corrente di pensiero, presente fra gli stessi politici locali, in base alla quale questo territorio ha la forza di mandare a Potenza due suoi candidati (uno di destra ed uno di sinistra, si dice spesso). E d’altra parte Venosa ne ha eletti tre. Ma per sfruttare questa forza occorrono strategie di maggiore sinergia.
Giannasio, invece, raccoglie 532 voti (di cui 339 a Pisticci) per arrivare secondo nell’ultima delle cinque liste collegate a Pittella, la Realtà Italia ferma al 2,85%. Candidature palesemente non competitive? Di rappresentanza? Candidature di disturbo? Qualche termine così forte è pur circolato. Ma non esageriamo: stimati professionisti non farebbero mai una cosa del genere e poi la libertà di essere della partita non si può negare a nessuno. Sicuramente erano lì perché ci credevano. Erano liberi di illudersi che può sempre esserci una sorpresa (soprattutto quando sei nella coalizione vincente). E poi non ci si può permettere di fare i conti in tasca agli altri e bollarli come fake. Avevano diritto ad esserci ed a sperare. E’ fuor di dubbio.
Dovrebbero essere gli elettori, però, a custodire la memoria e tenere a mente certi risultati (anche pregressi). A volte la storiella dei candidati dei partiti minori che hanno più possibilità di essere eletti, se non è una maliziosa sciocchezza, risulta quantomeno un’avventata semplificazione. Può essere vera, ma solo quando si sa contestualizzare.
Tra Giannasio e D’Onofrio ci sono a Pisticci circa 700 voti, una fetta pari ad oltre il 10% dei voti locali. Teoricamente potevano bastare anche a compensare il gap accumulato da Domenico Lazazzera. Ma in questo caso le cose sono più complicate: matematicamente è così, ma politicamente veder transitare 600 voti tutti da una parte è improponibile, soprattutto da sinistra a destra. Con un gap minore sarebbe rimasta valida l’ipotesi del nocumento da eccessivo traffico di candidati locali. Ma Lazazzera, candidato del Pdl, paga ben 593 voti di distacco al rieletto Castelluccio ed alla fine non è nemmeno il primo dei non eletti, perché è terzo, a 7 voti da Giordano. E questa è una beffa. In una competizione elettorale, per competere, occorre avere una maggiore consistenza fuori dalle mura amiche. Per compensare si chiedeva a Pisticci l’iniezione di un ulteriore 10% di voti. Non poca roba. Lazazzera paga la congiuntura sfavorevole di ritrovarsi in una coalizione fortemente perdente e, probabilmente, la scelta di ritornare con disinvoltura in quel Pdl che aveva lasciato sbattendo la porta con l’obiettivo nemmeno tanto celato di centrare subito l’accesso al consiglio regionale. Una sorta di contratto a progetto non apprezzatissimo dagli elettori e manco tanto da chi nel Pdl c’era già. Al di là delle posizioni di facciata, Lazazzera non si è ritrovato a casa sua ed ha dovuto misurarsi con le ostilità e le diffidenze “amiche”. E non poteva essere altrimenti per i suoi trascorsi finiani. Il gruppo di fedelissimi non è stato sufficiente a reggere l’impatto con la contesa regionale. Gli accordi presunti con gli uomini dei vertici non hanno dato, peraltro, il tanto atteso valore aggiunto. Ma c’è davvero da meravigliarsi che in politica certe cose si paghino? Di sicuro, comunque, cento o duecento voti in più, da Pisticci, sembravano obiettivo alla portata.
Non è stata fine a se stessa la candidatura di Eligio Iannuzziello con la Sel. Primo perché lui era diventato dirigente regionale di partito e pertanto non poteva sottrarsi dalla richiesta di metterci la faccia, poi perché Iannuzziello è di Sel, è soltanto di Sel, prova a costruire da tempo la sua carriera politica in Sel, non ti sbuca all’ultimo momento fra i piedi giusto per le elezioni e può permettersi un ragionamento di prospettiva (vista l’età), ovvero misurare la forza del suo partito a livello locale. Misurare, insomma, la sua forza. Alla fine risulterà, nella lista provinciale, terzo dietro al candidato presidente Murante e ad Antonio Santochirico, ma con distacchi minimi. Per lui 570 voti di cui 468 raccolti a Pisticci. La sua non è stata una candidatura priva di senso, ma resta, anche per lui, la distorsione (una forzatura trasmessa fino all’ultimo agli elettori) di presunta competitività elettorale al cospetto di un seggio che, invece, è risultato davvero molto lontano.
C’è una distorsione nell’interpretare il proprio ruolo anche da parte del candidato locale del M5S, Filippo Ambrosini. Una sua candidatura è comprensibile, l’idea che potesse essere competitiva a dispetto del radicato gruppo penta stellato di Matera città improponibile. La convinzione che potesse essere davvero così è prova di dilettantismo. Ambrosini, a livello locale, è stato il primo a spendersi per il Movimento ed essere della partita ci sta. Ma in questi mesi Ambrosini a Pisticci è rimasto quasi l’unico. Nonostante l’entusiasmo giovanile suscitato dal voto a 5 Stelle delle scorse politiche, nel territorio di Pisticci, di fatto, non è nata alcuna base a 5 Stelle. Ambrosini era un cavaliere solitario prima del boom alle politiche, ha proseguito da cavaliere solitario dopo, è rimasto quasi in solitario nella campagna elettorale ed ha preso 248 voti a Pisticci, per un totale di 406 voti che valgono il quinto posto su sei (il penultimo) in una lista dove Perrino è andato a Potenza con 1100 voti. Candidatura di rappresentanza. Ci sta. Ma basta saperlo.
Pisticci ha dato 486 voti utili alla rielezione di Nicola Benedetto. Ma la natura politica di Benedetto non è maturata nell’humus pisticcese (e forse proprio per questo riesce a centrare i suoi obiettivi). Benedetto ha doppio passaporto: è di Pisticci anagraficamente, non politicamente. Ed i voti presi a Bernalda lo dimostrano. Per Pisticci è una soddisfazione a metà. Questa volta, come sempre, si mirava più in alto. In due sembravano poter competere. Uno esce ridimensionato, l’altro non ha avuto fortuna.
Qualcuno, al termine di questa lunga disamina, può obiettare: ma la pisticcesità è un valore? Cosa c’entra col merito? Domande legittime. Certe cose, però, vanno dette a futura memoria, per far risaltare l’incoerenza di chi predica in un modo ed agisce in un altro. Nel tentativo di combattere l’individualismo che ci affossa. Agli elettori, invece, resti la memoria che a Potenza ci vanno comunque in venti e che anche stavolta saranno sconosciuti ai più.
Roberto D'Alessandro